LA SPA DEI BENI CULTURALI NEL MIRINO DELL’ANTITRUST
Via all’istruttoria: “Troppo spazio alla Ales, dai musei alla gestione del marchio del ministero. Pregiudicato il controllo pubblico”
L’Antitrust bacchetta e mette in mora il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini per l’eccessivo spazio lasciato alla società per azioni Ales, controllata al 100% dal ministero. Con la lettera del 24 ottobre 2014, arrivata nelle scorse settimane sulla scrivania del ministro (e presto pubblicata sul bollettino), l’Autorità guidata dal professor Giovanni Pitruzzella contesta al ministero l’eccessivo ricorso ai servizi della Ales per la gestione di musei e aree archeologiche. Ora si dovrebbe occupare di merchandising con il marchio Mibact oltre che dei call center, settori che prima erano affidati ai privati, ovviamente infuriati. L’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici era già intervenuta nel 2011. Ales però rilancia. Scrive l’Autorità: “Mibact (il ministero, ndr) risulta aver stipulato con Ales – nel corso degli ultimi anni – numerose convenzioni che prevedono l’affidamento diretto, nell’ambito di un rapporto asseritamente in house, di una molteplicità di servizi, fra i quali, tra l’altro, le attività necessarie alla redazione di un progetto esecutivo propedeutico all’affidamento della licenza d’uso del marchio Mibact per attività merchandising culturale”. Non solo. “Risulta – scrive l’Autorità- che il Mibact intenderebbe affidare ad Ales anche i servizi di comunicazione e promozione del patrimonio culturale, di supporto e monitoraggio della sicurezza dei siti culturali, di riordino e gestione informatizzata degli archivi degli istituti periferici del Ministero, nonché i servizi di contact center, in passato tutti affidati ad operatori privati mediante procedura ad evidenza pubblica”.
Ales potrebbe evitare le gare perché in teoria dovrebbe essere una società in house ma l’Autorità contesta nella sua lettera questo presupposto: “La natura è l’ampiezza delle attvità ricomprese nell’oggetto sociale di Ales appaiono idonee a pregiudicare il rapporto di controllo tra l’Amministrazione affidante (il ministero, ndr), e l’impresa in esame nell’ambito della gestione in house”. Per questo l’Autorità chiede di cambiare registro al più presto. La decisione riguarda una società nata nel 1998 per stabilizzare i lavoratori precari, che conta oggi 558 dipendenti per un costo del lavoro annuo di 18 milioni di euro. Senza le commesse in house per circa 24 milioni di euro la vita sarebbe dura per Ales.
L’Agcm “auspica che il Mibact (…) provveda ad una revisione delle modalità di affidamento dei servizi attinenti alla gestione dei musei e delle aree archeologiche secondo criteri obiettivi e trasparenti, tali da assicurare la concorrenza tra i soggetti interessati: modificando il vigente statuto di Ales, dal quale escludere tutte le attività ed i servizi riferibili ad una finalità strettamente commerciale, in quanto tali non compatibili con la asserita natura in house di Ales”. (di Marco Lillo e Valeria Pacelli, Il Fatto Quotidiano)
Ma non c’e’ VERSO di levarcela dai C——i questa famosa societa’????????
CLASSICO ESEMPIO DI CLIENTELISMO AD PERSONAM…..
CHIEDO al nostro sindacato di metterci tutto l’impegno possibile perche’ con quei 20/24 milioni di eurini qualcosaltro ci sarebbe da fare…….O NO??????
la Società Ales rappresenta veramente il volano per veicolare gli interessi dei politici che da anni di qualsiasi colore politico si sono adoperati per mantenerla in vita. La Confsal Unsa ha sempre denunciato questo tipo di operazione che volutamente è stata messa in campo, prima con la scusa di volerla sanare in quanto era quasi completamente fallita e poi con l’accollamento al 100% del Mibact che ne ha fatto un centro di potere a latere e utile al Ministro di turno per aggirare gli ostacoli della finanza pubblica e servirsi di questa società per fare assunzioni diversamente consentite e mantenere poltrone e poltroncine in funzione del sistema di potere partito e burocratico.
Se a tutto questo poi, si deve considerare che come amministratore Unico ci ritroviamo l’ex Segretario Generale del Mibact Giuseppe PROIETTI, che da anni è stato l’uomo che è riuscito sempre a mantenersi a galla sia con governi di centro sinistra che con governi di centro destra, e addirittura oggi oltre che essere pensionato d’oro è anche Sindacato a Tivoli, il quadro è completo per farsi un’idea di come funziona la democrazia in questo disgraziato paese.
…Prima o poi qualcuno si rende conto che qualcosa non va….
Questo potrebbe essere il titolo per un articolo tutto marcato MIBACT. L’italia è da tempo che gioca sulla pelle degli ex cassaintegrati degli anni 70-80. Nel MIBACT c’è un trapello di acculturati e acuti che ha messo le mani sui soldi della cultura sotraendo di fatto risorse al funzionamento del territorio e dei sui uffici. Basta vedere dove vanno a finire i soldi del gioco del lotto o altri fondi destinati ai beni culturali e noi ci finanziamo lo stipendio di Proietti e compani………..ora hanno messo anche le mani sui finanziamenti della Comunità Europera con assunzioni per la vigilanza per Pompei e altro personale. Nessuno fa niente, nessuno dice niente. Continuiamo così ……..P.S. la ARCUS è ancora li?
Buon lavoro.
DOBBIAMO SOLO SPERARE NELLA MAGISTRATURA CHE POSSA METTERE LE MANI SULLE STRANE SITUAZIONI DEL MIBACT…COSI’ COME AVVIENE SU TANTE ALTRE SITUAZIONI SPARSE PER L’ITALIA…NOI D’ALTRO CANTO NON SMETTEREMO MAI DI DENUNCIARE SITUAZIONI ESTREME CHE QUALSIASI CITTADINO PUO’ OSSERVARE ED AVERE IL DIRITTO DI INTERVENIRE PER DIFENDERE LO STATO DEMOCRATICO DA QUALSIASI USURPAZIONE DA PARTE DELLA POLITICA PARTITOCRATICA.
Franceschini: L’Istituto Luce entrerà nella festa del cinema di Roma.
La Redazione del Quotidiano dell’Arte
“Sarà l’Istituto Luce Cinecittà e non il Mibact direttamente ad entrare nella Festa del Cinema di Roma”. Lo dichiara il ministro dei Beni e delle Attività culturali e del turismo, Dario Franceschini al termine di un incontro che si è tenuto al Collegio Romano a cui hanno partecipato il Sindaco di Roma, Ignazio Marino e il Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. “Con il Sindaco Marino e il Presidente Zingaretti abbiamo concordato il rilancio di una manifestazione cinematografica nella Capitale che punti, da un lato, a sviluppare il mercato e, dall’altro, ad essere una vera festa del cinema. Per questo, non esiste nessuna concorrenza o improbabile competizione con la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia che mantiene il suo ruolo di concorso di eccellenza mondiale. La Festa di Roma perderà invece la parte concorsuale per trasformarsi, appunto, da festival in festa evitando quel rischio di sovrapposizione che qualche volta c’è stato in questi anni. Chi ha ruoli nazionali – conclude Franceschini – deve preoccuparsi di costruire sinergie ed evitare concorrenze”. Inoltre l’Istituto Luce entrerebbe nella Fondazione con un contributo di un milione di euro. Il Festival del cinema di Roma, inoltre, potrebbe avere una data fissa, che dovrebbe essere collocata nella prima metà di ottobre, e al pari degli altri grandi eventi internazionali resterà invariata negli anni. Probabile, anche se resta ancora solo una ipotesi, che la kermesse possa allargarsi inglobando anche il Roma fiction fest, come ha fatto intendere Zingaretti: «C’è la volontà di unire le forze di tutti gli attori istituzionali per concentrarci nella creazione di un grande evento dedicato al cinema e anche alla fiction». Confermata la presenza della Camera di commercio di Roma tra i soci, mentre non si conosce ancora il nome di chi sostituirà Marco Müller alla direzione del festival.
Si avete detto bene…. disgraziato paese…. !!!!!!
Che la società Ales sia uno scandalo lo sanno, da anni TUTTI!
Il Ministero che presta manodopera a se stesso è assurdo, solo nel nostro paese accade questo. Nata per stabilizzare gli ex-lsu che già dal 1991 lavoravano all’interno delle strutture del MiBac svolgendo ruoli ordinari, si è poi gonfiata assumendo nipoti, cugini e altro di noti esponenti politici. Consulenze, direttori generali, personale in staff (tutti raccomandati), sedi aziendali, 7-8 amministratori delegati, sono stati sperperati negli anni centinaia di milioni di euro, tutto era funzionale alla politica, ad una parte della burocrazia del MiBac ed ai sindacati che nella spartizione hanno avuto la loro parte. Oggi si potrebbero, con la chiusura di questo scandalo, risparmiare circa 7-8 milioni di euro, assorbendo i lavoratori ex-lsu in extraorganico, lavoratori che dati i limiti di età andrebbero in autoestinzione nel giro di pochi anni. Perchè non si agisce? In un paese NORMALE, Ales non ESISTEREBBE!! Ma il nostro un paese normale non è!!!!!
Inviato il 15/12/2014 alle 11:10 | In risposta a UNSA-CONFSAL BENI CULTURALI.
In vigore la riforma del Mibact. Primo giorno di applicazione della riorganizzazione.
La Redazione Quotidiano Arte.it
Il Ministro Dario Franceschini è recentemente intervenuto alla commissione Istruzione e beni culturali del Senato per illustrare la riorganizzazione del Ministero, nel suo primo giorno di entrata in vigore. Nel complesso la riforma, ispirata ai principi di spending review, nel prevedere il taglio di 37 dirigenti, affronta per la prima volta questioni annose e strutturali. La riorganizzazione è stata costruita pertanto per integrare pienamente cultura e turismo, semplificare l’amministrazione periferica, ammodernare la struttura centrale, rilanciare le politiche di innovazione e formazione, valorizzare le arti e l’architettura contemporanee con particolare riferimento alle periferie ubane e per dare maggiore autonomia ai musei statali italiani, finora grandemente limitati nelle loro potenzialità. La riforma riconosce il museo, finora semplice ufficio della Soprintendenza, come istituto dotato di un proprio bilancio e di un proprio statuto. Viene creata, inoltre, una direzione generale per i musei con il compito di creare un sistema museale nazionale. Diciotto musei e due siti archeologici di rilevante interesse nazionale verranno poi affidati a dirigenti che potranno essere scelti tra interni o esterni all’amministrazione con un bando che, oltre a essere pubblicato con le consuete procedure, verrà divulgato sulle maggiori testate internazionali. A essere dotati di autonomia speciale saranno la Soprintendenza speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’area archeologica di Roma, la Soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia, la Galleria Borghese, la Galleria degli Uffizi, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, il Museo di Capodimonte, la Pinacoteca di Brera, la Reggia di Caserta, la Galleria dell’Accademia di Firenze, la Galleria Estense di Modena, la Galleria Nazionale d’arte antica di Roma, il Polo Reale di Torino, il Museo Nazionale del Bargello, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, il Museo Archeologico Nazionale di Taranto, Paestum, il Palazzo Ducale di Mantova e il Palazzo Reale di Genova. In ogni Regione, infine, verranno creati dei poli regionali che dovranno favorire un dialogo continuo fra le diverse realtà museali pubbliche e private del territorio per dar vita a un’offerta integrata al pubblico.
Tornando alla gestione indiretta, visti i numeri, Dario Franceschini annuncia che sarebbe il caso di far tornare i servizi, “almeno in un’opzione di scelta, alla titolarità pubblica”. Sarebbe meraviglioso! Ma il Ministro pare aver individuato già il soggetto che rappresenterà lo Stato: si tratta di Ales, società in house del MIBACT amministrata da Giuseppe Proietti, dal passato un po’ turbolento. […]
Che il patrimonio culturale della Nazione sia bene comune è un concetto troppo spesso dimenticato. La conseguenza più vistosa di questo “vuoto di memoria” potrebbe facilmente essere additata nell’ingresso a pagamento nei musei statali. Utilizziamo il condizionale “potrebbe” perché, in realtà, la cultura della mercificazione del patrimonio porta a una collettiva levata di scudi contro quello che è un diritto dei cittadini, ovvero poter godere liberamente di ciò che è loro. Inserendo, infatti, il patrimonio nella Carta Costituzionale e tra i suoi principi fondamentali (art. 9), i nostri costituenti lo hanno legato indissolubilmente alla comunità.
Eppure ci si trova spesso a udire frasi del tipo “Bisogna pagare per vedere la nostra arte!” che presentano di per sé una grande contraddizione: la necessità di pagare per poter godere di ciò che è nostro. Per sradicare un concetto che la cultura del profitto ha imposto alla collettività che, senza accorgersene, lo ha fatto proprio a scapito di un proprio diritto, basterebbe ricordare la natura di “luogo della cultura” del museo. Nel 2006, l’allora Ministro per i Beni e le Attività Culturali Francesco Rutelli ha fatto pubblicare un volumetto, a distribuzione gratuita, dal titolo Italia: i luoghi della cultura, nel quale vengono passati in rassegna, dalla grande città al piccolo centro, tutte le istituzioni culturali presenti sul territorio nazionale: tra esse, assieme ai musei, laddove presenti, figurano anche archivi e biblioteche. Nessuno paga per accedere al patrimonio custodito in archivi e biblioteche, perché pagare per il museo che ha la stessa finalità di diffusione della cultura come i primi due?
La resistenza maggiore è, tuttavia, costituita da un’altra frase di circostanza: “E come si mantengono i musei?”.
La risposta più ovvia sarebbe: “Difficile che si possano mantenere se si continuano a fare tagli!”, ma proviamo ad andare oltre. Nel 1993, con la legge 4 (Legge Ronchey), approvata all’unanimità, si inaugura una stagione di apertura ai privati nella gestione dei servizi legati ai musei. I campi di applicazione di tale normativa – essenzialmente servizi di gestione e vendita di materiale legato ai beni culturali e ristorazione – sono andati ampliandosi in maniera tentacolare nel corso dei successivi interventi giuridici, includendo nella gestione indiretta anche le visite guidate, i servizi didattici e l’organizzazione di eventi all’interno delle strutture deputate, oltre alla possibilità di concedere in uso ai privati il bene stesso (art. 117 del Nuovo Codice del 2004 che, di fatto, manda in pensione la Legge Ronchey); nel 2009, inoltre, si è arrivati a “snellire” le procedure di affidamento dei servizi aggiuntivi in musei e istituti ministeriali. Il volume di affari di questi servizi aggiuntivi è notevole, ma allo Stato non spetta che una minima parte: basti pensare agli introiti da servizi aggiuntivi a Roma, nel 2013, pari a circa 17 milioni di euro dei quali solo 2 sono finiti nelle casse statali e 15 nelle tasche degli appaltatori.
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Sale chiuse a Capodimonte
Si comprende bene come, se questa gestione fosse statale o, almeno, la ripartizione degli utili fosse più proporzionata, la liquidità derivante dal servizio aggiuntivo in un museo concorrerebbe, in misura non trascurabile, a rimpolpare il bilancio del MIBACT; forse abbastanza da permettere l’abolizione del prezzo del biglietto nei musei e l’affermazione del principio per il quale l’accesso alla cultura debba essere per tutti e non soltanto per chi se lo possa permettere; e, perché no, garantire qualche altro posto di lavoro. Infatti, il servizio all’interno del museo, qualificandosi come aggiuntivo, comporta di per sé un prezzo, legato anche alla professionalità del personale deputato a fornirlo. Se si procedesse all’assunzione da parte del Ministero di personale qualificato anche per questi servizi, oltre a garantire un reddito agli operatori, si permetterebbe la limitazione dell’iniziativa privata all’interno della cosa pubblica, lasciando allo Stato una parte maggiore rispetto alla attuale degli introiti derivanti dai servizi. Ma molti musei, oggi, hanno difficoltà a tenere aperte le sale per carenza di personale e, in alcuni luoghi culturali, si fa ricorso al volontariato in sostituzione degli operatori del Ministero (la Legge Ronchey, invece, prevedeva che il volontariato affiancasse e non sostituisse il personale statale): ciò comporta, oltre a un fastidioso turn-over nell’apertura delle sale, anche la difficoltà, da parte dei custodi, di gestire momenti di grande caos come quelli che si verificano durante le aperture gratuite, quando la gente si riversa nei musei allettata dall’idea di non dover pagare il biglietto. Numeri da record che non servono a nulla se restano le difficoltà nella gestione delle orde di visitatori e, per gli stessi, quella di godere appieno del patrimonio tra una sgomitata e l’altra. Cosa che, verosimilmente, non accadrebbe se la gratuità (o, per lo meno, un prezzo popolare, tipo 1 euro) fosse la norma: non ha senso fare il boom di ingressi in un solo giorno per poi lasciare le sale – si parla dei musei meno frequentati – vuote il resto del mese: non c’è destinazione al museo degli introiti dei biglietti che tenga se la gente non vuole pagare per accedere al patrimonio. E’ una sconfitta culturale!
Tornando alla gestione indiretta, visti i numeri, Dario Franceschini annuncia che sarebbe il caso di far tornare i servizi, “almeno in un’opzione di scelta, alla titolarità pubblica”. Sarebbe meraviglioso! Ma il Ministro pare aver individuato già il soggetto che rappresenterà lo Stato: si tratta di Ales, società in house del MIBACT amministrata da Giuseppe Proietti, dal passato un po’ turbolento.
Che si tratti del solito colpo gobbo mascherato da Zorro? Staremo a vedere.
Intanto, restiamo in attesa di politiche culturali serie