BATTAGLIA (CONFSAL-UNSA): “E’ IL GIORNO DEL GIUDIZIO ALLA CORTE COSTITUZIONALE SUL TFS/TFR DEI LAVORATORI PUBBLICI”
Roma, 9.05.2023. Si tiene oggi, dopo anni di iniziative politiche e giudiziarie della Confsal-UNSA, l’udienza della Corte Costituzionale relativa al ricorso del sindacato sul ritardato pagamento ai lavoratori pubblici della loro liquidazione.
“Oggi la Corte Costituzionale decide se il TFS/TFR nel pubblico impiego sono un sacrosanto diritto al pari del privato o se sono un prestito da chiedere alle banche. Perché in questo si è trasformato il legittimo diritto alla propria buonuscita per decine di migliaia di lavoratori pubblici” afferma Massimo Battaglia, Segretario Generale della Federazione Confsal-UNSA.
“E’ la seconda volta che l’UNSA arriva alla Corte Costituzionale per sottoporre la questione al vaglio di costituzionalità” prosegue Battaglia “I dipendenti pubblici si aspettano che la Corte –dopo aver dato avvertimento nell’altra sentenza al Parlamento di rivedere la materia pensionistica- faccia giustizia e metta ordine a una normativa che vede il pubblico impiego non solo penalizzato ma anche discriminato rispetto ai lavoratori del privato che all’atto del pensionamento attendono solo 3 mesi per ottenere la loro liquidazione”.
“E’ vergognoso che ci siano lavoratori” conclude il Segretario Generale “che dopo oltre 40 anni di lavoro debbano attendere ancora dai 2 ai 7 anni per ottenere il proprio TFS/TFR, con l’ulteriore danno di un’inflazione galoppante che impoverisce il valore stesso della buonuscita. Oggi ci attendiamo che giustizia venga fatta e che cessi questa discriminazione”.
TFS-TFR DEGLI STATALI, LAVORATORI IN PIAZZA DAVANTI ALLA CONSULTA NEL GIORNO DELLA VERITÀ.
OGGI I GIUDICI DECIDONO SUL PAGAMENTO DIFFERITO. BATTAGLIA: «STOP ALLE DISCRIMINAZIONI, LA CORTE FACCIA GIUSTIZIA»
Lavoratori in piazza davanti alla Consulta nel giorno del giudizio sul Tfs-Tfr dei pubblici dipendenti. Oggi i giudici della Suprema Corte stabiliranno, una volta per tutte, se è lecito che uno statale debba attendere anche sette anni per avere la sua liquidazione. Una sentenza molto attesa che arriva dopo una battaglia durata anni e combattuta in prima linea da Confsal-UNSA (che edita questo sito) a colpi di ricorsi. «Oggi la Corte Costituzionale decide se Tfs e Tfr nel pubblico impiego sono un sacrosanto diritto al pari del privato o se sono un prestito da chiedere alle banche. Perché in questo si è trasformato il legittimo diritto alla propria buonuscita per decine di migliaia di lavoratori pubblici», tuona Massimo Battaglia, Segretario generale della Federazione Confsal-UNSA. Questa è la seconda volta che l’UNSA arriva alla Corte Costituzionale per sottoporre la questione al vaglio di costituzionalità. «I dipendenti pubblici – continua Battaglia – si aspettano che la Corte, dopo aver dato avvertimento nell’altra sentenza al Parlamento di rivedere la materia pensionistica, faccia giustizia e metta ordine a una normativa che vede il pubblico impiego non solo penalizzato ma anche discriminato rispetto ai lavoratori del privato che, all’atto del pensionamento, attendono solo 3 mesi per ottenere la loro liquidazione.
La storia
Era stato il governo Monti, dopo la crisi dello spread del 2011, ad autorizzare il pagamento differito del Tfs-Tfr ai dipendenti pubblici per dare respiro alle finanze dello Stato. Ma già nel 2019 una sentenza della Suprema Corte aveva stabilito che fosse sacrificabile il diritto del lavoratore pubblico alla liquidazione solo nei casi di cessazione anticipata dal lavoro. Anche il Tar del Lazio, esattamente un anno fa, aveva sollevato la questione di legittimità delle norme che attualmente dilazionano il pagamento del Trattamento di fine servizio dei pubblici dipendenti rispetto alla tempistica prevista per il privato, che invece percepisce il Trattamento di fine rapporto già al momento del collocamento in pensione.
Conto alla rovescia
Oggi gli statali aspettano anche 7 anni prima di incassare la liquidazione e con l’inflazione che galoppa ciò si traduce in un taglio dell’assegno corposo. Anche del 30%. Unica scorciatoia: i prestiti delle banche convenzionate (che però non vanno oltre i 45mila euro e che al momento costano di interessi attorno ai 1.500-2.000 euro) e i finanziamenti Inps (che anticipa l’intero ammontare della liquidazione però anche in questo caso c’è un prezzo da pagare tra interessi e spese amministrative). «Troviamo vergognoso che ci siano lavoratori che dopo oltre 40 anni di lavoro debbano attendere ancora dai 2 ai 7 anni per ottenere il proprio Tfs-Tfr, con l’ulteriore danno di un’inflazione galoppante che impoverisce il valore stesso della buonuscita. Oggi ci attendiamo che giustizia venga fatta e che cessi questa discriminazione», afferma il Segretario generale della Federazione Confsal-UNSA. Se oggi la Corte Costituzionale dovesse dichiarare illegittimo il pagamento differito della liquidazione allora lo Stato dovrà reperire svariati miliardi di euro per pagare il Tfs agli statali in pensione. Insomma, l’Inps rischierebbe il tracollo: basti pensare che solo nel 2024 andranno in pensione circa 150 mila lavoratori della Pa per una spesa previdenziale superiore a 10 miliardi di euro. Ecco perché nella memoria difensiva depositata agli atti della Consulta l’istituto di previdenza prova a mandare la palla in corner facendo una distinzione tra il Tfs, ossia la liquidazione per i dipendenti assunti fino al 31 dicembre del 2000, e il Tfr, il trattamento di fine rapporto riservato a chi è stato assunto nel pubblico a partire dal primo gennaio del 2001, che in soldoni è una retribuzione differita trattenuta mensilmente dallo stipendio.
Secondo i legali dell’Inps solo il Tfr degli statali potrebbe essere pagato immediatamente come avviene nel privato. Peccato che il Tfr, che è in vigore da soli 22 anni, non può ancora essere richiesto da nessun lavoratore pubblico.
Il precedente
I legali di un ricorrente iscritto al sindacato Confsal-UNSA, ex dipendente pubblico andato in pensione per raggiunti limiti di età che da anni aspetta di ricevere il Trattamento di fine servizio, ricordano tuttavia nella loro memoria difensiva quanto stabilito dai giudici supremi con la sentenza 159 del 2019. I giudici in quell’occasione non solo hanno detto che il pagamento differito può essere considerato lecito solo in caso di uscita anticipata dal lavoro, hanno anche spiegato che non ci sono differenze tra il Tfr e il Tfs perché entrambe le indennità, «si prefiggono di accompagnare il lavoratore nella delicata fase di uscita dalla vita lavorativa e sono corrisposte al momento della cessazione dal servizio allo scopo di agevolare il superamento delle difficoltà economiche che possono insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione». (Fonte: PA Magazine – Francesco Bisozzi)
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